PC Engine

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samus-aran
00venerdì 30 novembre 2007 01:35
Il PC Engine è una console prodotta dalla NEC e presentata sul mercato Giapponese nel 1987.

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Durante la prima metà degli anni ottanta, una società produttrice di chip e componenti elettronici in generale, forniva alla Nintendo molti dei “pezzetti” di silicio che davano vita all’architettura dell’allora famosissimo Famicom, console che da sola riuscì a raggiungere quasi il 90% dello share del mercato videoludico nel paese del sol levante. Questo ingente successo, convinse tale società, la NEC, e cercare nuove vie per diffondere e produrre la propria tecnologia.
Nel 1987 i vertici NEC incontrarono quelli di Hudson, giovane e intraprendente softwarehouse, che gia allora poteva contare su titoli di grande successo, per cercare di capire cosa sarebbe stato necessario produrre per contrastare la casa di Kyoto e soprattutto guadagnare punti in quel novanta percento tenuto saldamente nelle mani di Nintendo.
Nacquè così l’idea di produrre una console da gioco, compatta, all’avanguardia e che fosse assolutamente facile da programmare. Fu l’alba del PC Engine, fu l’inizio della sua storia.
Piccola e dal design decisamente accattivante, il PC Engine fu la prima console a dichiararsi a 16 bit, anche se in effetti il proprio cuore pulsava grazie a un processore a 8 bit (uno Z80 a 7.16 mhz) che lavorava in parallelo a un chip grafico a 16. Tale “potenza” a disposizione donava all’Engine la possibilità di mostrare una quantità di colori dieci volte maggiore del Famicom (16 colori su schermo da una palette di 512) e una gestione degli sprite assolutamente più snella e potente del suo rivale. La risoluzione video arrivava fino a 256 * 216 pixel gestiti da una memoria video di 64k più 8k di RAM buffer.
Tutto questo ben di Dio veniva poi “ingabbiato” nelle celebri Hu-Card, delle cartucce da gioco simili a delle carte di credito e che rendevano l’accoppiata console più gioco davvero molto avveniristica rispetto allo scatolotto di Nintendo.
Tale prerogative non tardarono ad imporsi e nel Natale del 1987, NEC comincio la sua scalata ai vertici del mercato dei videogiochi giapponesi.
I giocatori nipponici si accorsero della bontà del progetto e ne decretarono un discreto successo.
Due anni prima del Megadrive e quasi quattro dall’affermazione del Super Famicom, il PC Engine riuscè a sfruttare pienamente questo anticipo sulle future generazioni per dare al Famicom del filo da torcere.





Un anno più tardi quando le vendite si consolidarono in tutto il paese, NEC decise di lanciare sul mercato l’unità CD-ROM per la sua console.
Le software house rimasero decisamente soddisfatte da un media che si rivelò negli anni il supporto principe per le console, ma che forse, a quei tempi risultò abbastanza prematuro.
E se da un lato la maggiore capacità del supporto poteva allargare gli orizzonti degli sviluppatori, dall’altra l’unica vera maniera per la quale vennero sfruttati i CD fu la possibilità di giocare prodotti musicalmente all’avanguardia. Temi suonati da CD mentre il giocatore continuava a muovere il suo sprite contenuto in pochi K di codice era diventata la consuetudine dell’epoca.
Senza contare aggiunsero le interminabili attese per il caricamento di alcuni titoli, chi ha giocato a Fighting Street o Monster Lair sa di cosa sto parlando.
Con il passare degli anni però NEC trovò il modo di sfruttare adeguatamente le potenzialità delle varie versioni dotate di CD della sua console, l’arrivo della Super System Card e dell’ Arcade Card Pro, dotava il PC Engine DUO (versione con CD-rom integrato) di caratteristiche avanzate nella gestione di grafica e sonoro, gli sviluppatori poterono accedere a tutta una serie di possibilità che portarono prodotti come la conversione di Strider ad essere uno dei migliori risultati di sempre su macchine a 8 bit.


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Il successo in Giappone convinse NEC dopo un paio di anni di attraversare il pacifico e sbarcare negli Stati Uniti, vero e proprio feudo di sua maestà NES (Nintendo Entertainment System).
L’arrivo in occidente del PC Engine fu davvero altisonante, una campagna pubblicitaria sulle maggiori reti televisive dedicate ai giovani e il supporto dei maggiori rivenditori di giocattoli sembravano spianare la strada al Turbo Grafx 16.
Già, fu questo il nome scelto dalla società nipponica per invadere il mercato americano, e fu il primo di una serie di errori che ne compromisero il successo.
Non bastarono il supporto dei media e dei vari Babbage’s o Toys “R” Us per compensare quel biennio di ritardo in un industria che si muoveva alla velocità della luce.
Il primo settembre 1989 insieme al suo carrozzone mediatico, la console arrivo sugli scaffali del mall statunitensi. Quel “sedici” non ingannò il pubblico che scoprì ben presto che il Turbo Grafx non era quel mostro di tecnologia che NEC paventava nelle sua pubblicità.


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Il ritardo fu letale, il NES continuava a fare breccia nei cuori degli appassionati USA e il poco felice design dell’ Engine a stelle e strisce e l’avvento di un Megadrive basato sulla tecnologia di un Atari ST davvero a 16 bit non riuscirono a convincere un pubblico ormai viziato dalla grande N e assolutamente certo di aspettare quello che il futuro gli stava per offrire.
L’avvento della versione dotata di CD, un paio di anni dopo e della versione portatile non riuscirono assolutamente a raddrizzare una situazione nata con i migliori auspici, ma finita con la peggiore delle previsioni. In Europa il Turbo Grafx non arrivò mai ufficialmente, e pare che una certa distribuzione si vide soltanto in Spagna e in Inghilterra dove una copia della console americana, differente solo da un case grigio invece che nero, passò assolutamente inosservata.


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Il Pc Engine fu prodotto anche in Korea da Daewoo e da una sconosciuta ditta della quale ancora non si consoce esattamente la regolarità nello sfruttamento di tale licenza. Il Vistar era un Pe Engine a tutti gli effetti, una forma anonima e l’assenza di qualsiasi connessione sul retro della macchina erano le caratteristiche salienti di un qualcosa probabilmente venduto a un prezzo più basso della controparte Dewoo.


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In Giappone le cose andavano decisamente meglio. Il classico PC Engine di colore bianco fu sostituito agli inizi del 1989 con le versioni Core Grafx I e II che sostanzialmente rimanevano uguali all’originale cambiandone solo il colore (grigio e blu e grigio e arancione) e aggiungendo una porta A/V sul lato dello chassis e il joypad con autofuoco di serie.


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Le versioni con il CD-ROM cambiarono forma e colore, si passò dal classico nero antracite del PC Engine DUO alle più aggraziate forme del DUO-R e del DUO-RX. Questi due modelli di colore bianco si differenziavano oltre che per forma e colore anche per l’assenza della presa delle cuffie per rendere il prezzo di vendita più competitivo.
Tra loro invece l’unica diversità la fece il pad che sulla versione RX poteva contare su sei tasti. Il che rendeva questa console ottima per giocare all’incredibile conversione di Street Fighter 2 ad opera di Capcom.


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Nel 1990 NEC lanciò a sorpresa il Super Grafx un ibrido dalle forme davvero poco aggraziate che sarebbe dovuto essere il potenziale rivale del Megadrive e dell’imminente Super Famicom.
La macchina si presentava con chip grafici più potenti e una ram molto più veloce.
Davvero ingombrante e con l’impossibilità di espandersi non ebbe il successo sperato e in qualche maniera decretò l’inizio della fine di una certa novelle vague che NEC diede all’intera industria videoludica.
Furono soltanto sei i titoli specificatamente pubblicati per questa console:
Aldynes, Battle Ace, Ghouls & Ghosts, 1941, Granzort e l’introvabile e vera chicca per ogni collezionista odierno il bellissimo Darius Plus.

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Tra il 1991 e il 1992 uscirono altre tre interessanti varianti per questa immortale console di casa NEC. Lo Shuttle, pensato per un pubblico più giovane, ricordava le forme di una astronave e fu uno dei tanti flop che la società giapponese incamerò in quella metà degli anni 90 che la vedeva rincorre senza successo le tecnologie di Sega e Nintendo.

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Forte della sua esperienza nei pannelli LCD, NEC pensò di dotare di questo prezioso orpello un paio di modelli della famiglia degli Engine, il primo fu il GT e il secondo chiamato LT rappresenta oggi la vera e propria gioia di tutti gli appassionati del retrogaming.
Il GT ricordava molto da vicino il GameBoy di Nintendo, impugnatura e dimensioni delle schemo simili, ma di forma decisamente più grande. IL Gt era caratterizzato da una schermo a colori assolutamente fantastico che però di suo consumava moltissima energia.
Caratteristica fondamentale di entrambi era che, a differenza degli handheld presenti allora sul mercato (Game Boy e Game Gear), i gioiellini di NEC sfruttavano i medesimi giochi dei fratelloni maggiori.
Giocare a titoli come PC Denjin, Street Fighter 2 o Bomberman su uno di questi “giocattoli” era davvero sfizioso. Il GT fu dotato di un accessorio per ricevere segnali televisivi e un cavo di connessione per giocare in link, che non fecero altro che decretarone un enorme successo. Oggi questa console rappresenta una vera e propria icona per ogni collezionista che si rispetti.
Con la sigla LT invece NEC presentò un qualcosa di meno portatile del GT ma che poteva contare su un fantasmagorico schermo da ben 4 pollici e la possibilità di connettere il tutto a una unità CD-ROM. Questo Engine era una sorta di enorme Game Boy Advance SP, un grosso guscio al cui interno veniva custodito un mondo di giochi e colori davvero ineguagliati per anni.
Con un tuner televisivo al suo interno e la possibilità di essere collegato a una TV, il PC Engine LT è in assoluto il più impressionante e raro pezzo per le odierne collezioni di videogiochi.



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La metà degli anni novanta rappresento il declino del mercato videoludico in casa NEC.
Il mercato cominciava a viaggiare con i ritmi odierni e al consolidamente del mercato per Nintendo e l’arrivo di piattaforme multimediali (3DO di panasonic e Jaguar di Atari) di a varia entità relegarono il PC Engine a console di nicchia, perla per tutti gli amanti degli sparatutto e di un vecchio modo di intendere il videogioco.
Arrivato nel momento giusto in Giappone, il PC Engine non è riuscito ad adeguarsi all’inesorabile scorrere del tempo. La concorrenza di Nitendo e Sega e le sbagliatissime scelte di marketing di NEC ne hanno fatto una console dalla vita relativamente berve, ma assolutamente indimenticabile.
Nel 1994 NEC provò a ricominciare da zero lanciando sul mercato il risultato dei lavori sul progetto che portava il nome in codice di “project ironman”, quel PC FX che tentò la strada di un nuovo approccio al modo di giocare, ma che non ebbe la fortuna che NEC immaginava.


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Questa volta il crollo fu totale e nonostante i suoi 140 titoli tutti abbastanza simili tra loro, il NEC PC-FX rimase un opera incompiuta, forse non compresa, ma che probabilmente avrebbe potuto dire la sua in un altro momento. Anche se quello che abbiamo visto e giocato dalla metà degli anni novanta in poi, lascia pochi dubbi sull’effettiva valenza di tale progetto.
Il PC Engine ha rappresentato la più esotica delle console giapponesi, la più orientale e per qualche anno la più innovativa, delineando strade poi intraprese dalle grandi console dotate di lettore CD-ROM.
Oggi conta su una schiera di appassionati e collezionisti che la esalta e la ricorda tramite siti internet, collezioni e pubblicazioni che la riguardano. Molti dei suoi giochi, soprattutto quelli usciti verso la fine della sua vita commerciale, sono pezzi davvero rari per le raccolte degli appassionati di retrogaming. Emulata su qualsiasi piattaforma, dalle odierne console ai più moderni PC, oggi il mondo videoludico può tranquillamente provare e capire il perché di tanto successo tra chi la ha amata e tra chi ne ha conosciuto le sua potenzialità soltanto dopo.
Successi come Final Match Tennis, F1 Circus, Spriggan, Gunhead fino agli indimenticabili Splatter House e Dracula X vannoa creare un calderone di giocabilità e game design assolutamente da seguire.
Chi gioca e crea videogiochi all’alba del 2006 non può prescindere dalla conoscenza della console di NEC.





FONTE



Dr.Stewart
00sabato 1 dicembre 2007 15:20
Nell'articolo si parla spesso di design della console, in alcuni punti si fa riferimento al fatto che nel momento del lancio statunitense non aveva dei grandi lineamenti, ma a mio avviso sia il Master Sistem che il Nes non erano mostri di design, e nemmeno la prima versione del Megadrive.

Poi logicamente se si esalta la potenza a 16 bit quando ne risultano ugualmente 8 non è un dato molto furbo.

Alcuni dei flop sinceramente sono meritati, soprattutto quando si vede la versione Shuttle [SM=x430245]
Però è da apprezzare il coraggio di affrontare un mercato in cui le porte erano chiuse dalla Nintendo e dalla Sega, soprattutto con tutte le novità della macchina [SM=x430284]
samus-aran
00venerdì 11 gennaio 2008 20:30
Da Wikipedia, la lista dei giochi x PC Engine
(spero sia completa e attendibile)

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Yoko Dark
00sabato 12 gennaio 2008 03:08
Certo che un tempo andavano solamente sparatutto e picchiaduro (e me lo ricordo bene quanta poca varietà c'era nelle sala giochi degli inizi anni '90)...cn la nuova generazione cè stata una rivoluzione anche nelle filosofie dei giochi e nn solo delle consolle...da un pac-man ed un tetris siamo arrivati ad un ocean endless... [SM=x430246] [SM=x430246] [SM=x430297] scherzi a parte, una consolle che si sviluppa senza che cambi anche la filosofia di gioco nn può avere storia ed avvenire...
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