Ieri ho finito un gioco.
“Che me ne frega?”, direte voi. Vero, ma a me frega, quindi zitti e buoni e ascoltate.
Il gioco in questione è Ghostbusters, dell’arcaico Sega Megadrive. Un gioco che dire che appartiene alla mia infanzia è dir poco.
Erano gli anni attorno al 1993, più o meno, e nelle case spopolava il Gameboy, mentre la Playstation era ancora lungi dall’essere creata, e il mondo viveva un periodo di pace e tranquillità.
Dai miei 7-8 anni, non capivo nulla di quelle tecnologie, a dire il vero non mi interessavano assolutamente. Però sapevo cosa diventare da grande: un acchiappafantasmi. Non mi perdevo una puntata del cartone più in voga del momento, arrivando a registrarle tutte per riguardarle quando ne avessi avuto voglia.
Per un Natale, chiesi a mia madre di comprarmi la cassetta dell’omonimo film con Bill Murray e Dan Aykroyd. Alchè lei, per errore, confondendo la dimensione della confezione, invece di prendere quella, acquistò la cartuccia di gioco del Megadrive.
Quando la aprii mi chiesi: “ma che è sta roba?”
Dopo un rapido excursus capii che era una cosa tecnologicamente avanzata, alla quale non avrei nemmeno potuto giocare, non possedendo, ovviamente, la console. Mi limitai a leggere e rileggere e rileggere ancora il libretto di istruzioni del gioco, dov’erano segnalati tutti i boss presenti nel gioco (li trovai stupendi), tranne l’ultimo, un certo
Bazoozoo indicato solamente con un punto di domanda. Provate a immaginare cosa mise in moto nella mia testa quel punto di domanda.
Come sarà fatto? Sarà enorme? Sarà cattivissimo? Che farà?
Tutte queste domande giravano vorticose nella mia testa, e arrivai al punto da immaginarlo come un gigantesco tondo con all’interno un punto di domanda, che saltellava in giro per lo schermo. Assurdo, certo, ma nella mente di un bambino queste cose possono far fermentare la fantasia e la curiosità in maniera incredibile.
Conscio tuttavia che non avrei mai visto il
Bazoozoo nella sua interezza, accantonai il gioco in attesa di tempi migliori nei quali, chissà, avrei potuto trovare una scappatoia per godermi quella cartuccia così misteriosa e nel contempo affascinante.
Negli anni successivi ebbi modo di giocare due volte a questo titolo.
Una volta dal fratello di una mia amica, possessore della console, che mi concesse di andare a casa sua un pomeriggio per provarlo, e la seconda da mio cugino Alessandro, durante una vacanza a casa sua. Così, mentre la prima volta non riuscimmo a passare quasi nessuno schema, nella seconda riuscii assieme ad Alessandro e alla sua piccola tv scassona in bianco e nero ad arrivare al penultimo livello, con un’ansia indicibile. Ma, nonostante un’intera serata passata davanti allo schermo, il fatto di non poter salvare i progressi fu il nostro limite, costringendoci a spegnere tutto e ad andare a dormire.
Fu l’ultima volta che potei giocare a Ghostbusters.
Fino ad oggi.
Dopo averlo completamente rimosso dalla mia testa, la settimana scorsa, come un flashback improvviso e dettato da non so cosa, mi è tornato in mente il drago rosso di fuoco, uno dei boss del gioco più bastardi.
E così ho pensato: “Cristo, ecco un gioco che non ho mai più finito!”
Conscio del fatto che con i potenti mezzi attuali trovare quel
gioco sarebbe stato un
gioco da ragazzi (scusate il
gioco di parole... Ops, un altro.
), ho scaricato il buon emulatore e la brava ROM e mi sono apprestato a rientrare in quel mondo che 10 anni fa mi pareva così favoloso e ignoto.
Così ci ho giocato e, dall’alto dell’esperienza accumulata in tutti questi anni, l’ho portato a termine, grazie anche al Quicksave che non ha reso il gioco troppo frustrante.
E una volta visto il Bazoozoo, una volta sconfittolo (ma si dice?
), e una volta lette le parole THE END sullo schermo, è stato come se una parte del mio passato si fosse conclusa. Come se una parentesi aperta 10 anni fa e alla quale non avevo più fatto caso, si fosse chiusa.
E questo porta a riflettere. Riflettere su quanto i Videogiochi (quelli con la V maiuscola) abbiano contribuito a farmi diventare quello che sono.
Un perdigiorno, secondo alcuni (anche secondo la ragazza che amo...).
Forse sì, ma non posso dimenticare quanto mi hanno dato quei semplici pezzi di plastica e chip in grado di trasportarmi in un mondo fittizio ma coinvolgente.
Non posso dimenticare il primo incontro con il Gameboy trasparente del mio amico Enrico, poi subito acquistato anche da me, nella sgargiante colorazione rossa e corredato con Wario Blast.
Non posso dimenticare la prima volta che vidi Zelda Link’s Awakening, con la sua copertina dorata e il suo alone di mistero e tabù (era del fratello della mia amica, quello di prima, e raramente lei glielo “fregava” per farmelo vedere), non posso dimenticare Super Mario Land, regalatomi dal prete del mio paese per premiarmi del fatto che facevo il chierichetto, non posso dimenticare i pomeriggi passati nel giardino di Mario 64 assieme ad Enrico, in cerca del famoso salto che avrebbe fatto pronunciare a Mario la parola “Ancoraa!” (che io ero convintissimo di aver sentito)... Non posso dimenticare i 5 minuti di religioso silenzio, da parte nostra, quando finimmo per la prima volta quel gioco, e ne ammirammo i titoli di coda. Non posso dimenticare nemmeno Zelda OOT, e le interminabili giornate passate nei campi di Hyrule alla ricerca della Triforza, come non posso dimenticare nemmeno l’emozione grandissima del ritorno di Ganon dalle rovine del castello e della sua spettacolare trasformazione tra tuoni e fulmini e tensione crescente. Non posso dimenticare la nostra convinzione di vedere un pinguino volante nella pista ghiacciata di Mario Kart, mentre non era altro che la striscia blu del traguardo vista da un lato, come allo stesso modo i nostri tentativi di uscire dalla pista di Donkey Kong e raggiungere le piattaforme e i prati sottostanti, cadendo comunque sempre e solo nell’acqua della cascata. Ma noi ci provavamo lo stesso, perché la curiosità ci spingeva a farlo.
Come provavamo cose al limite dell’assurdo in Goldeneye, e in Banjo Kazooie, alla ricerca delle favolose uova con il punto di domanda. E come scordare la sera in cui giocammo a Resident Evil con la play, troppo spaventati per proseguire, nonostante la grafica smarzona del gioco.
Momenti memorabili, di cui questi citati sono solamente una piccolissima parte.
Inevitabilmente, ognuno di noi ha poi perseguito i proprio interessi come ad esempio Enrico che ora si dedica anima e corpo allo sport e alla vita all’aria aperta.
L’avvento del Cubo mi ha tuttavia permesso di conoscere un sacco di gente come me, amante dei videogiochi: da Samu e il mai dimenticato Covonintendo, al mio amico e compagno di classe Sergio, alla banda di NOE e degli altri forum da esso poi derivati, come Francesco, Giada, Davide e chi più ne ha più ne metta.
Persone che considero amici, che come me vivono emozioni nel videogiocare, che nel loro cuore hanno ricordi legati a tale attività, come quelli che ho esposto prima...
Ora il mondo sta cambiando. Non ci sono più videogiochi memorabili come quelli del passato... o almeno, sono rimasti in pochi. Ma forse siamo noi che cambiamo. Sono le nostre scelte di vita che ci portano a vedere le cose in un’altra maniera, magari con occhio più critico rispetto a 10 anni fa, dove tutto ciò che contava era la
magia sprigionata da Zelda e da compagnia bella.
Forse è questo, non so dirlo con sicurezza.
Una cosa però la so.
Se il mondo si sta avviando forse ad una rivoluzione con la nuova generazione di console, io mi rivoluzionerò con esso. Perché la passione per questa attività non è mai venuta e non verrà mai meno.
Ma ora la domanda è: perché ho scritto tutto questo? E perchè l'ho messo in un topic separato da, magari, Philosophy in a Tea Cup? Non so, forse per condividere con voialtri tamarri quello che mi è passato per la mente da quando ho visto la scritta THE END sul gioco degli acchiappafantasmi, o forse per far vedere che non so scrivere solo stronzate o OT come DaNvide crede io faccia nei suoi topic marzulliani.
Continuiamo a giocare, ragazzi, fregandocene di quello che gli altri possono pensare.
Giochiamo.
Perché in ognuno di noi c’è ancora un bambino in grado di emozionarsi davanti a una forma d’arte come può essere quella videoludica, e a chiedersi come sia fatto un Bazoozoo.
E con questo concludo.
Grazie Miyamoto, e a tutte le persone che ogni giorno lavorano per regalarci (beh... 50 euro non è tanto un regalo
) esperienze di vita che porteremo con noi per sempre.
Luca