Sì, capita che nel proprio lavoro ci siano anche delle delusioni...
avevo scritto questo pezzo per l'agenzia...peccato, nella logica editoriale è risultato troppo "duro", e poi l'argomento era già stato coperto... evabbé...
"Scenda un pietoso velo"
Sangue, dolore, sgomento, lacrime, violenza, sommossa, follia, retorica, guerra, tifo: sono tutte parole e sentimenti, azioni e immagini, fatti e misfatti dell’ennesima domenica degli orrori che oramai, periodicamente caratterizza l’Italia. Che non è l’Italia pallonara fatta di moviole, di rigori, di campioni osannati ed esaltati e schiappe strapagate e comiche. Non è l’Italia delle bandiere sventolate e dei cori inneggianti, degli sfottò divertenti e dei commenti al bar il lunedì mattina. È una Italia triste, che si chiude sempre più dentro le case, che non ha il coraggio di guardare oltre le mura domestiche, che vede nel volto del vicino un potenziale nemico: quello che abbiamo visto e subito domenica 11 novembre in tutti canali tv e attraverso la radio non c’entra nulla con il calcio. Non c’entra la sventurata morte di Gabriele Sandri, fatto tifoso della Lazio al posto sbagliato nel momento sbagliato. Sandri non è un morto del calcio, è un morto causato dal clima di violenza e illegalità diffusa, che genera nel nostro Paese tensione e paura che possono ottundere anche la mente del poliziotto più bravo e generoso. Non c’entrano con il calcio i criminali che hanno messo in scena a Roma come a Bergamo, a Milano come a Taranto una anteprima di guerra civile, di colpo di Stato, con strategie di guerriglia organizzata, con alleanze tra bande pronte a tutto, a sfasciare come a dar la caccia all’uomo, ad assediare le caserme come se si trattasse di un gesto normale. Non c’entra il berciare squilibrato degli ultras dell’Atalanta, una ben misera e ignorante minoranza davanti ad uno stadio che protesta, che li fischia, che dice no alla violenza, alla protervia, alla sanguinolenta minaccia ai giocatori, ai poliziotti: accomunati al loro collega causa incosciente di tutto il dramma domenicale, ma accomunati anche all’ispettore Filippo Raciti, ucciso a febbraio negli scontri intorno allo stadio di Catania. “10 -100-1000 Raciti” è uno slogan che ovunque, in tutte le città d’Italia è stato cantato, gridato, urlato per impestare di inverecondia una normale domenica di calcio. Il povero Gabriele Sandri è stato ucciso due volte: lui, descritto come giovane mite, amante dello sport e della sua Lazio, della musica che gli dava da vivere, è finito nelle spire di un gioco di morte che lo ha trasformato in un bersaglio prima, ed in un martire inventato poi. Lui è morto come tanti, per un errore, ad un posto di blocco forzato come in una battuta di caccia se si viene scambiati per un cervo dietro un cespuglio. Forse che per un errore chirurgico si debbano mettere a ferro e fuoco tutti gli ospedali d’Italia? Sono attori di violenza per il gusto di commetterla gli ultras, bande brigantesche che hanno mostrato il loro volto definitivo: vere organizzazioni delinquenziali che hanno scientemente eletto quale proprio nemico lo Stato ed i suoi servitori, quelle “guardie” oggetto domenicale della loro sboccata favella e delle loro contumelie. E appena possono dei loro sassi e bastoni. L’11 novembre è morto non solo Gabriele Sandri, per il quale mai basteranno le preghiere e le belle parole: sono morti anche quegli ultimi neuroni che potevano far sperare in una azione di civiltà verso gli ultras, capaci di appropriarsi di un morto per farne miccia incendiaria per prendere in ostaggio una intiera nazione. Se sono fallite tutte le scelte politiche, se sono morte ancora una volta le speranze che il calcio sia veicolo di gioia e di pace come tutto lo sport deve essere, anche per la memoria di Gabriele Sandri, di Filippo Raciti, di tutti i morti ammazzati dalla follia del tifo calcistico allora è giunto il momento di chiudere per molto tempo baracca e burattini. Lasciamoli soli al loro destino, dentro gli stadi chiusi a combattere la loro idiozia come i gladiatori al tempo di Roma imperiale. Perché si possa pensare con urgenza come ridare speranza a quei bambini di Bergamo che piangevano disperati mentre un gruppo di imbecilli assetati di sangue distruggeva un stadio ed un sogno: il sogno di quei bambini di potere gridare a squarciagola “Gooool” e ridere, cantare scherzare in una bella domenica di un tiepido novembre.
"Ma noi siamo in tre: io, Smith e Wesson"
Clint Eastwood